Che bello il quadro di Caravaggio chiamato L’incredulità di Tommaso. Fedele al suo stile efficacissimo, nel buio del mondo una macchia di luce lascia sbocciare un Cristo luminoso, velato di bianco: è il Risorto.
La ferita al costato, bella anche questa come il suo Signore, viene avvicinata e violata da un accigliato e stupito Tommaso, circondato dagli altri due incuriositi discepoli. Quasi a dirci: beati quelli che vedono, perché crederanno.
Ma è proprio così? Davvero il vedere porta alla fede? Sembra la linea di tante esperienze religiose, genuine e non: apparizioni, lacrimazioni, prodigi e via dicendo, che attirano a volte folle di persone, alcune curiose, altre in profonda ricerca interiore.
Nel Vangelo succede però il contrario. Sono le parole dell’annuncio della risurrezione gridate dalla Maddalena e il ritrovarsi assieme nell’ottavo giorno che smuovono alla fede i cuori dei discepoli.
Ai due discepoli di Emmaus succede qualcosa di simile: il lungo ascolto della Parola del Risorto che illumina la Scrittura e l’eucarestia, celebrata in una locanda, aprono gli occhi e i cuori alla fede in Gesù, davvero risorto.
Credere per vedere, allora, sembra il retto percorso della fede cristiana. Come anche di altre esperienze umane: quando sono innamorato vedo finalmente la bellezza dell’altro; quando mi abita un’idea preziosa, un desiderio grande allora vedo le strade per realizzarli.
Forse le due dimensioni, credere e vedere, si illuminano a vicenda. Caravaggio però ci può ancora aiutare con la sua concretezza quasi carnale.
Cristo è davvero risorto, ma con il suo corpo, anzi, con il nostro corpo umano. Non la sua anima soltanto, non il suo spirito soltanto, non la sua dimensione divina soltanto, ma con il suo corpo umano Gesù Cristo è risorto dai morti.
Succederà così anche a noi se restiamo uniti a lui. Lo crediamo?
il vangelo
Gesù disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
(Gv 20,19-31)