Oggi il Signore ci racconta una parabola con due personaggi, ben caratterizzati e polarizzati.
Siccome è una parabola, modalità comunicativa che ci stimola a identificarci in uno dei personaggi, ci costringe quasi a prendere posizione.
E questo è salutare, perché spinge a cambiare, a compiere un salto di qualità nella nostra vita interiore e pratica.
Vediamo innanzitutto una persona perbene: non ruba, non uccide, pratica la religione e fa tutto quello che è prescritto dai comandamenti e dalla tradizione religiosa.
È come se dicesse: io sono arrivato, io ho già dato, io non ho bisogno di cambiare. In più, ci mette una buona dose di giudizio negativo sugli altri.
Il Signore giudica negativamente questo modo di affrontare la vita, perché è una modalità chiusa, impermeabile, dove la sua misericordia non può entrare perché il cuore è già pieno di sé.
Il secondo personaggio, invece, è problematico, perché svolge un’attività lavorativa discutibile assai, non ha buoni rapporti con la vita religiosa, tanto da mettersi in fondo al tempio, a distanza.
Ma il Signore lo giudica positivamente, perché è aperto al cambiamento: riconosce la sua situazione di peccato, si affida alla misericordia di Dio. Non è chiuso, anzi invoca la novità di Dio nella propria vita.
E noi, a chi assomigliamo? Chi vorremmo essere? Giungono provvidenziali, allora, le parole del vescovo Carlo, che nella sua Lettera Pastorale ci invita a riflettere, a conoscere e ad abbracciare la seconda conversione.
Un passaggio da una vita di praticante ripetitivo, un po’ avaro con Dio e con la Chiesa e senza slanci, ad un fedele entusiasta, desideroso di crescere, di offrirsi al Signore e alla comunità, dalla vita piena.
Un bel frutto di questo Giubileo della speranza.
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il vangelo
«Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato».
(Lc 18,9-14)